A Flumini non c’è niente (punto di domanda)

di Mariangela Rapetti. Isole minori, racconti scelti da Bachisio Bachis.

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Foto di Andrea Giuseppe Rapetti

“A Flumini non c’è niente”.

Credo sia questo che fu detto da donna Eleonora Gessa a suo marito Ignazio Asquer quando, nel 1704, decisero di ripopolare il feudo. E credo che lo dissero anche i fondatori Pietro Angelo Serpi, Francesco Pinna e Pietro Maccioni alle cinquanta famiglie terralbesi quando chiesero loro di fare fagotto per trasferirsi nell’antica Flumen Mayor. Devono averlo detto anche gli imprenditori che hanno fatto a gara, nella seconda metà dell’Ottocento, per accaparrarsi le concessioni minerarie. E chissà che non l’abbiano detto i vicini buggerrai quando, nel 1960, ottennero l’autonomia.

“A Flumini non c’è niente” lo hanno detto in tanti, a Fluminimaggiore. Io per esempio l’ho detto. E l’ho pure sentito dire.

Ma cosa vuol dire, quando si dice che in un paese non c’è niente? In realtà, non lo so.
Allora perché devo averlo detto? Voglio capire.

Osservo da fuori.

Vedo una comunità in fermento, fatta di persone attive e motivate. Si pianificano e, poco alla volta, si realizzano grandi progetti. Allora non è vero che non c’è niente. Forse è stato prima, dico, forse prima non c’era niente.

Guardo ai miei ricordi.

L’imbrunire di questa sera di gennaio mi ricorda che il 16 del mese i rioni del paese festeggiano Sant’Antonio abate con i falò. Ricordo che a Cuccureddu si mangiavano le fave, qualcuno portava la carne di cinghiale, zia Maria friggeva i ravioli dolci.

Poco dopo arrivava Carnevale: andavamo a bussare nelle case vestiti di stracci, si faceva la sfilata, poi la pentolaccia. A Cuccureddu c’era un gruppo di ragazzi che lavorava la notte, di nascosto, per creare ogni anno un carro originale. Una volta, poche ore prima della sfilata, sentii la musica fuori, guardai dalla finestra della mia cameretta e vidi collo e testa di un dinosauro. In mezzo a tante persone che ballavano vidi mio fratellino che, grazie ad Agostina, era vestito come Barney Rubble dei Flintstones.

Poi la primavera, il momento migliore per le escursioni. Insieme agli insegnanti noi bambini scoprivamo la nostra storia e il nostro territorio. E guai a mancare a S’Incontru.
E a Flumini c’era, e c’è, il mare. O meglio c’è Portixeddu, che la spiaggia i buggerrai etc. etc.

A giugno si festeggiava, e si festeggia ancora, Sant’Antonio da Padova: arrivava l’autoscontro, si allestiva sa parara e si giocava con l’albero della cuccagna. A Cuccureddu poi facevamo anche i fuocherelli per s. Giovanni Battista, che venivano accesi allo scampanio dell’ave Maria.

Ad agosto passava anche la processione, a Cuccureddu, per l’Assunta. Anche se il top, per me, era la Festa dell’Unità nel cortile delle scuole elementari. L’unico momento dell’anno in cui mangiavo le addormentasuocere.

Forse l’autunno era un po’ noioso, ma poi arrivava Natale, con sa matta ‘e su cumpingiu addobbata e illuminata, e is candeberis l’ultima notte dell’anno.

Vero, forse le feste comandate non erano abbastanza, e magari il mare, alla lunga, poteva annoiare. Ma c’era anche altro da fare: i fluminesi sono sempre stati sportivi. Vero, forse nemmeno lo sport bastava. Però i fluminesi hanno sempre amato la musica, hanno suonato, cantato e organizzato concerti da che ho memoria.

E poi arte e artigiani, imbracchinadoris, e corsi di cucina cucito musica ballo acquagym lingua inglese sagre e così via. Le associazioni sono sempre state attive, a Fluminimaggiore.

E poi vabbè, certo, c’erano le cricche, i bambini che giocavano per strada e i ragazzini che organizzavano feste. E per i più grandi la discoteca (sì, c’era anche la discoteca, un tempo). E poi c’erano le chiacchiere che smorzavano i momenti di noia. E i bar con i videogiochi o i tavoli da biliardo.

E gli scherzi. Un periodo ci fu un fluminese che, la notte, si vestiva da fantasma e passeggiava per le strade del paese. Si narra che un giorno qualcuno trovò il nascondiglio con il lenzuolo, ma c’è chi dice che una notte qualcuno si trovò di fronte lui, con indosso il lenzuolo… Samara challenge?!? Tzè, copioni.

E il lavoro?

Ecco, questo. Questo sì, questo è vero che è iniziato a mancare, con la chiusura delle miniere. Se si era passati dalla campagna alla miniera con facilità, più difficile si rivelò tornare alla campagna dopo la miniera.

E allora sì, credo che sia andata così. Credo che da quel momento ci sia stato il niente.
Era il niente nell’animo, era tristezza, era sconforto. Era il niente da fare.

Qualcuno è partito, qualcuno è sparito.

Qualcun altro è rimasto e qualcun altro è tornato.

A fare? A sognare? Anche. Lottare? A volte. Vincere? Non sempre.
Ma il fluminese è testardo e non si arrende. Nemmeno di fronte al niente.

Mariangela Rapetti

Vent’anni trascorsi a Fluminimaggiore, nel rione Cuccureddu, a sognare, altrettanti vissuti tra Cagliari e Quartu cercando di realizzare quei sogni. Siccome seguire una rockband in tour mondiale non era possibile, è passata al piano b: insegnare all’Università. Anche questo si è rivelato complicato da realizzare ma, da brava fluminese, ci è riuscita.

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