Lui con la mente tornava sempre a quell’11 settembre del ‘73. Ai giorni scuri e terribili del golpe di Pinochet. Imprigionato, torturato, ma non piegato dai traditori della democrazia cilena, Luis Sepulveda. E invece ucciso a settant’anni dal nemico invisibile che sta annientando chi giovanissimo non è più, ma avrebbe ancora tanto da dare, da insegnare in questo secolo, nel millennio che si è aperto tra guerre e crudeltà. E ora il virus che ci costringe a fare i conti col nostro modo di stare al mondo, col nostro stile di vita, che spesso ha seguito il sentiero dell’egoismo, evitando di guardare ad uno sviluppo in armonia con la natura.
E qui probabilmente c’è tutto il sogno, svettano gli ideali della generazione di Luis Sepulveda, per una società in cui l’uomo non sfrutti l’uomo. Tra letteratura e politica, si era formato in anni in cui l’impegno voleva dire anche vivere pericolosamente, affrontare avventure per la libertà, per un mondo migliore. Così era entrato a far parte degli uomini della scorta di Salvador Allende. E aveva assistito da vicino alla fine del compagno Presidente. Mentre moriva in un letto d’ospedale Pablo Neruda, il cantore del Cile che tanto aveva fatto per la vittoria di Unidad Popular. E su questa morte misteriosa ci sono oggi documenti che fanno luce e rivelano un molto probabile omicidio. Neruda era un pericolo per la dittatura di Pinochet. Così come lo era il musicista e poeta Victor Jara, ucciso barbaramente. Tanto sangue. E poi il dramma degli esuli. Gli Inti Illimani trovarono rifugio in Italia, mantenendo un rapporto privilegiato con la Sardegna.
Ricordo, a Cagliari, i loro concerti e il calore che li accompagnava. Tutti eravamo coscienti che la tragedia del Cile, mentre si manifestava per liberare il Paese sudamericano dalla dittatura, doveva essere di lezione per la crescita della democrazia in Europa. Ne era consapevole Enrico Berlinguer, quando elaborò la strategia del compromesso storico. E in Sardegna ad ogni manifestazione si scandiva “El pueblo unido / jamás sera vencído”.
Luis Sepulveda intanto girava il mondo e scriveva. E mentre io scrivo quest’articolo ho in mano un suo affascinante libro di viaggio, Patagonia Express. È un diario di ricordi, riflessioni, racconti, incontri, alla ricerca di una dimensione personale, di un centro di gravità. E la fantasia, la favola è la cifra stilistica di Sepulveda. Un mondo dove spesso gli animali sono protagonisti e il fine ultimo è la solidarietà tra gli esseri viventi. Un mondo fantastico, che solo uno scrittore sudamericano, sulle orme di Borges e Garcia Marquez, poteva immaginare, afferrando le invenzioni linguistiche da una tradizione millenaria, con i piedi ben piantati per terra, tenendo ben presenti i problemi del suo continente. È un mondo che per noi sardi rimanda ai racconti di Lussu, al Cinghiale del diavolo, all’epica dei pastori-guerrieri.
Il narratore-guerriero Luis Sepulveda era preoccupato per la fragilità della nuova democrazia cilena, per una sinistra priva di visione e per le sofferenze senza fine del popolo. Troppi interessi nel Cile in cui Allende nazionalizzò il rame. Troppe ingiustizie nel Brasile di Bolsonaro.
Quelle ombre lui le aveva vissute già negli anni precedenti il 1973, quando forze oscure cercavano a tutti i costi di impedire che Unidad Popular andasse al governo. Le tensioni in Cile erano al limite della sostenibilità e Il colpo di Stato non giunse inaspettato.
Confesso che ho vissuto. Con le parole di Pablo Neruda si può riassumere il cammino appassionato e generoso di Sepulveda. Ha vagato per il mondo e due volte si è sposato con la poetessa Carmen Yáñez, nata a Santiago del Cile nel 1952, anche lei segnata dal golpe.
Rientravano dal un festival letterario in Portogallo quando Luis si è sentito male. Positivo al Covid-19, grave, ma poi la speranza. Carmen era già tornata a casa e aspettava che il marito la raggiungesse. E invece, dopo un mese e mezzo di resistenza al virus, si è spento nell’ospedale di Oviedo.
Così lo ricorda l’amico Gianni Minà su Facebook:”Ho voluto bene all’uomo, ma non posso fare a meno di piangere l’intellettuale che aveva partecipato alle lotte per il riscatto dell’America Latina con il coraggio e la forza che hanno solo i visionari, i romantici, i pazzi.” E ancora:”Mi sento più solo, ma ho l’ingenua certezza che adesso lui è ritornato a fare la guardia del corpo al suo amato Presidente Allende.”
Anche nelle praterie del cielo lo accompagna il mito del viaggio, come Che Guevara, come tutti i combattenti dalla parte dei più deboli. Ma Luis Sepulveda, Lucho, sicuramente ha con sé la sua Moleskine, come in Patagonia, e già sembra di vederlo prendere appunti per raccontare un nuovo mondo, fatto di giustizia e libertà.
Attilio Gatto