C’è un film di Pier Paolo Pasolini – La ricotta,1963 – in cui Orson Welles interpreta un regista, un po’ sé stesso, un po’ alter ego del poeta friulano. Arriva un giornalista che vuole intervistarlo. Welles lo fulmina con lo sguardo. E gli dice:”Lei è un uomo medio. Ma lei non sa cos’è un uomo medio. È un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, colonialista, schiavista, qualunquista.”
Nella periferia romana, l’intellettuale americano lancia l’invettiva contro la borghesia italiana. Lo fa per conto dell’amico Pasolini. Ma è come se prendesse di mira i produttori di Hollywood, quelli che l’hanno emarginato, costringendolo a fare i suoi film con i soldi guadagnati recitando per altri registi. Niente finanziamenti e difficoltà di ogni genere per un genio che ha inventato il linguaggio del cinema, del teatro, della radio, attingendo ai classici come Cervantes e Shakespeare.
È seguendo le tracce di questo genio che s’è innamorato del cinema un regista sardo, Gianfranco Cabiddu. Il film della vita, per lui è Otello, che Welles ha girato nel 1950 – tra Marocco, Roma e Venezia, – scegliendo di volta in volta le “location” più economiche, fermando spesso la produzione per mancanza di costumi, tecnici, attori, denaro. Rompicapo che il regista risolveva con invenzioni folli e visionarie. Invenzioni che, nel caso di Otello, gli hanno fatto vincere la Palma d’oro a Cannes.
Nella versione italiana, Orson Welles è doppiato da Gino Cervi, uno dei nostri grandi attori. Ma non abbastanza grande da eguagliare l’originale, la voce possente di Welles,
il tono, le pause, che danno forza allo sguardo vigoroso, lo stesso che avrebbe voluto incenerire i padroni di Hollywood.
Dice Cabiddu:”Il teatro nel cinema visto da Orson Welles è qualcosa di miracoloso. Shakespeare sul grande schermo potrebbe facilmente annoiare, ma Welles lo rende avvincente, capace di catturare lo spettatore con inquadrature sorprendenti, con musiche e suoni straordinari.”
È proprio dalle musiche e dai suoni che Gianfranco Cabiddu ha cominciato il percorso che l’ha portato al linguaggio cinematografico. Lui è nato a Cagliari nel ‘53 e la sua prima passione si è sviluppata intorno alle note dei complessi fine anni sessanta, inizio settanta. Una passione che, tra un film e l’altro, il regista coltiva ancora oggi. Ad agosto – dal 26 al 30 – sarà a Carloforte per il Festival di musica da cinema Creuza de Ma, che si tiene da quindici anni. Un inno alla musica è anche il suo ultimo film, Il flauto magico di Piazza Vittorio, 2018, diretto insieme a Mario Tronco. È un musical multiculturale, multietnico, ma anche multimediale. Una riscrittura da Mozart, che ha vinto il David di Donatello per le musiche. l’Orchestra di Piazza Vittorio, con lo spettacolo nell’adattamento teatrale, ha girato il mondo per dieci anni.
“Il cinquanta per cento di un film – Cabiddu ne è convinto – è musica. E la musica racconta cose che le immagini non possono spiegare.”
A Bologna si è laureato in etnomusicologia. Poi il salto a Roma, tecnico del suono, collaboratore di grandi registi al Teatro Ateneo. Ha lavorato alle riprese di due importanti Macbeth, la versione di Vittorio Gassman e quella di Carmelo Bene. Insostituibile l’esperienza con Grotowski e Peter Brook. Davvero unica l’occasione con Eduardo De Filippo. Cabiddu ha registrato la colonna sonora dell’ultima straordinaria opera del grande drammaturgo, La tempesta da Shakespeare, riscritta da Eduardo in napoletano del 1600 per Einaudi.
Dalla musica al teatro al cinema. “Ormai conoscevo il linguaggio – dice Cabiddu, – ed è stato naturale dedicarsi ai film.”
Ha cominciato alla grande. Nella cooperativa che ha dato vita al film di Giuseppe Ferrara Cento giorni a Palermo (1984). È la storia dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, interpretati da Lino Ventura e Giuliana De Sio. La sceneggiatura è dello stesso Ferrara, di Giovanni Anchisi, di Riccardo Iacona e di Giuseppe Tornatore.
Poi arriva la collaborazione al primo film di Tornatore, Il camorrista, 1986, tratto dal libro di Giuseppe Marrazzo sulla vita di Raffaele Cutolo. Protagonisti Mariano Rigillo e Laura del Sol. Nel cast anche Maria Carta. “Fui io a suggerire a Tornatore il nome di Maria – spiega Cabiddu – perché avevo visto la sua grande interpretazione nel Padrino Parte II di Francis Ford Coppola.”
E Maria Carta con Laura Del Sol tornano nel primo lungometraggio diretto da Gianfranco Cabiddu. È Disamistade (1988), storia di faida, ma anche di rivolta alle leggi della violenza. Maria Carta, nel film, è la moglie dell’ucciso, presenza scenica forte, passionale, sguardo intenso. Cabiddu ha per lei grande ammirazione. La definisce “Una sorella maggiore”, ma anche “una maestra, che va studiata perché ha dato tanto alla Sardegna. Un profilo culturale ancora da scoprire.”
Del ‘97 è Il figlio di Bakunin, tratto dal romanzo di Sergio Atzeni. Affascinante è il documentario del 2015, Faber in Sardegna, in cui Cabiddu racconta un Fabrizio De Andrè privato e il suo amore per l’Isola.
E siamo al 2016 con La stoffa dei sogni, il film con cui Gianfranco Cabiddu ha vinto il David di Donatello per la sceneggiatura. È interpretato da Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Luca De Filippo, Gaia Bellugi, Teresa Saponangelo e Jacopo Cullin. È ancora l’eredità di Eduardo. Dove l’Isola de La tempesta è L’Asinara.
Eduardo De Filippo, Orson Welles, la musica sono i temi che ricorrono nella poetica di Gianfranco Cabiddu. Lui da anni vive a Roma e insegna regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma l’ispirazione viene spesso dalla Sardegna. Ha un nuovo progetto nell’Isola, ma per il momento lo custodisce gelosamente. Sta girando un film sulle launeddas di Luigi Lai.
Di De Filippo e della sua fantastica Tempesta Cabiddu conserva un ricordo incancellabile. Lui ha aiutato il Maestro a registrare la voce di tutti i personaggi dell’opera shakespeariana tradotta in napoletano. Cominciando da Prospero, Duca e Mago, tradito dal fratello usurpatore. E alla fine del lavoro Eduardo ci ha lasciato un messaggio di speranza: ”Sebbene sia stato trattato in modo indegno da suo fratello, dal re di Napoli e da Sebastiano, Prospero non cerca la vendetta bensì il loro pentimento. Quale insegnamento più attuale avrebbe potuto dare un artista all’uomo di oggi, che in nome di una religione o di un ideale ammazza e commette crudeltà inaudite, in una escalation che chissà dove lo porterà?”
Attilio Gatto