
Ecco il testo del discorso pronunciato a Cagliari da Enrico Berlinguer il 27 aprile del 1977 nella trascrizione apparsa su Rinascita sarda nel numero speciale pubblicato nel gennaio del 1991 in occasione del centenario della nascita di Antonio Gramsci.
Non si può spiegare la fama e la popolarità di Antonio Gramsci se non ci fosse stato e non ci fosse oggi un grande partito comunista, ma non ci sarebbe oggi questo nostro partito se non ci fosse stato Antonio Gramsci: il Gramsci sardo, il Gramsci di Torino, il Gramsci del congresso comunista di Lione, il Gramsci dei Quaderni del carcere. Quale è stato il cammino che ha portato Gramsci a divenire l’ispiratore, l’educatore e il capo del PCI e, al tempo stesso, a divenire uno dei grandi pensatori e uomini d’azione dell’Italia contemporanea, uno dei punti di riferimento della vita e della ricerca culturale?
Senza riandare a tutte le vicende della vita di Gramsci, vorrei solo soffermarmi su tre momenti che sono determinanti nella formazione della sua personalità. Eccoli: il suo essere sardo; il suo incontro con la classe operaia torinese; L’ avere colto tutta la novità storica e mondiale della rivoluzione d’ottobre e del pensiero di Lenin.
Tutta la elaborazione gramsciana è un filo che si dipana dalla sua terra natale, dalla vita sarda, dallo spirito sardo. Qui, a contatto con la miseria della sua gente – che anche egli patì – Gramsci divenne prima ribelle, ma un ribelle che ben presto seppe prendere contatto con il movimento operaio e socialista. Il rivoluzionario nasce dal ribelle, come egli stesso scrive:” Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole elementari…Esso si allargò a tutti i rischi che opprimevano i contadini della Sardegna. E io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione. ‘Al mare i continentali’: quante volte ho ripetuto queste parole…”
Sta di fatto che Gramsci ebbe sempre vivissimo il senso dei caratteri specifici della storia e della vita sarda, anche in ciò che lo distinguevano dal resto del Mezzogiorno. Ma non meno importante è ricordare che proprio dalle condizioni di esistenza dei sardi venne a Gramsci l’impulso a porre in modo nuovo, insieme alla questione sarda, l’intera “questione meridionale”.
In un breve cenno autobiografico – negli scritti dal carcere – Gramsci ricorda però anche lo sforzo che egli volle e dovette compiere per “superare un modo di vivere arretrato quale è quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi di un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale, e tanto più nazionale (anzi nazionale appunto perciò) in quanto cerca di inserirsi in modi di vivere e di pensare europei”.
Ma come riesce quel Gramsci, che si considerava e si definiva un “triplice e quadruplice provinciale”, a sprovincializzarsi? Egli compie questo passo a Torino, con la severità dei suoi studi universitari e con il contatto della classe operaia organizzata di quella città. Gramsci incontra a Torino la classe sociale che storicamente è chiamata a un ruolo centrale nella vita italiana e a Torino egli comprende che proprio la classe operaia è la classe nazionale e universale per eccellenza.
Ma proprio a Torino Gramsci coglie anche tutti i limiti e tutte le insufficienze del movimento socialista italiano, ed è proprio lui che sarà chiamato a dare il massimo contributo al superamento di quel “provincialismo” di altro tipo che si esprimeva nelle angustie economicistiche, corporative, “nordiste” , che caratterizzavano allora il movimento sindacale e politico dei lavoratori e che gli impedivano di acquisire la propria autonomia ideale e politica, e di esercitare la sua funzione nazionale organizzando intorno a sé un sistema di alleanze.
Questo divenne il tema cardine della ricerca teorica e del lavoro politico di Antonio Gramsci.
Alla comprensione matura di quel tema cardine, Gramsci poté però giungere solo in forza dell’evento storico decisivo che fu la Rivoluzione d’Ottobre del ‘17 della quale egli fu il primo, in Italia, e forse nell’immediato l’unico a intendere la portata e la radicale novità. “La storia è dunque in Russia”, ebbe a esclamare Gramsci allora, con ciò volendo dire che con la vittoria del proletariato russo, grazie alla guida di Lenin, si era aperto il primo varco nel sistema capitalistico mondiale.
La vittoria della rivoluzione socialista in Russia, l’apparizione del leninismo, segnano un salto nella strategia, nella tattica, e nella stessa dottrina del movimento operaio. Gramsci è il più pronto a cogliere questo evento nel suo significato rigeneratore, per il colpo che esso dà a tutte le interpretazioni e applicazioni dogmatiche e meccanicistiche del marxismo allora proprie delle correnti social-riformiste e massimalistiche, interpretazioni e applicazioni che impedivano al proletariato di acquisire la propria autonomia ideale e politica nei confronti del capitalismo.
Che cosa è stato il movimento dei lavoratori negli ultimi decenni, che ruolo ha svolto il partito comunista nella realtà italiana?
Dalla morte di Gramsci, sono trascorsi quarant’anni; e quali anni sono stati! Di quali eventi l’Italia e il mondo sono stati teatro in quest’arco di tempo! Superando prove terribili, il movimento delle classi lavoratrici e del PCI hanno compiuto un immenso cammino in ascesa che li ha portati a essere la forza decisiva che ha salvato l’Italia dalla rovina in cui
l’aveva precipitata il fascismo, e a divenire protagonisti della rinascita democratica e del moto di rinnovamento che ha spinto e che spinge in avanti tutta la società italiana. Questo era il compito consegnatoci da Gramsci. Per adempiere a questo compito abbiamo proceduto sulla strada aperta da lui e sulla linea del suo insegnamento.
Ma proprio da Gramsci noi abbiamo appreso a non fare del marxismo (e quindi dello stesso pensiero gramsciano) un corpo di regole e di formule fissate una volta per sempre. Proprio da Gramsci abbiamo appreso a ispirarci al marxismo in modo critico e creativo, e cioè a svilupparlo per farlo divenire strumento sempre adeguato al processo storico, utile per interpretare e trasformare la realtà attraverso una azione politica sostenuta dal movimento delle masse e capace di spostare forze adeguate per cambiare i rapporti di potere.
Non tutto quello che abbiamo fatto si trova in Gramsci. Anzi, molti atti e molte acquisizioni che hanno caratterizzato la nostra politica da quarant’anni in qua, costituiscono vere e proprie innovazioni anche rispetto all’opera e al pensiero di Gramsci.
Ma da Gramsci abbiamo sempre tratto un insegnamento, un metodo, che hanno continuato e continuano ad ispirare la nostra lotta.
Da Gramsci abbiamo ricevuto l’insegnamento che la rivoluzione è un processo, incessante che avanza con l’affermazione continua della iniziativa coordinata e unificante della classe operaia e di tutte le lotte di progresso. Per questo – egli diceva – il movimento operaio non può concepire l’avvento del socialismo come “la caduta dall’albero di una pera matura”; con ciò criticando e superando l’opportunistico attendismo dei riformisti.
Ma per questo egli criticò ogni visione astratta, settaria e schematica che fa credere si possa risolvere il problema rivoluzionario con il gesto dimostrativo ma inconcludente di piccoli gruppi. La società si trasforma attraverso il movimento e l’opera di grandi masse: non vi è via diversa da questa.
Gramsci ci ha insegnato che si è rivoluzionari quando si sanno affrontare e avviare a soluzione i problemi grandi e piccoli che il processo storico e politico ha reso maturi. A questo insegnamento si è ispirata tutta la nostra lotta quando si trattò di risolvere i problemi storicamente maturi: dall’abbattimento del fascismo, della organizzazione di una guerra di liberazione nazionale e poi del passaggio dalla monarchia alla repubblica, della edificazione di un regime democratico, della ricostruzione economica.
A questa linea, si è ispirata la nostra lotta in questi ultimi trent’anni: una lotta che ha conosciuto anche momenti di errore e di arretramento ma che, nel complesso, ha decisamente contribuito a difendere ed espandere la democrazia, a realizzare conquiste di grande rilievo nelle condizioni di vita e nell’affermazione dei diritti delle classi lavoratrici e a portare l’intero movimento operaio e i suoi partiti ad acquisire una forza tale che ormai il loro apporto alla direzione del paese è divenuto la condizione stessa della salvezza e della rinascita dell’Italia.
Nella lotta in cui siamo impegnati, una lotta in cui si decide la salvezza o la rovina dell’Italia, stanno a sicura guida dei nostri passi l’insegnamento e l’esempio di Antonio Gramsci. Breve, troppo breve, la vita di Gramsci, e tragica la sua sorte.
In una lettera dal carcere alla madre egli stesso si definì “un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata”; e aggiungeva:” I combattenti non possono e
non debbono essere compianti quando essi hanno lottato non perché costretti, ma così essi stessi hanno voluto consapevolmente”.
Ma se Gramsci è stato sfortunato nell’immediato, la sua lotta e la sua opera hanno lasciato una traccia profondissima in tutto il movimento operaio italiano, nella vita culturale, nella coscienza di milioni di uomini e di donne.
Gramsci ha continuato ad operare anche quando non c’era più.
Gramsci è stato con noi durante tutte le battaglie democratiche e civili degli ultimi 40 anni. Gramsci è con noi. La sua eredità passa – come egli diceva di ogni azione umana – “da una generazione all’altra in un movimento perpetuo”. E la sua eredità vive e fruttifica ancora oggi nell’animo della gente sua e della nostra terra, e nell’animo dei lavoratori e di tutti gli italiani che aspirano alla giustizia, alla libertà.
Gramsci è con voi che lottate, con voi operai e contadini che lottate in ogni parte della Sardegna.
Gramsci è con voi giovani, studenti intellettuali che volete la redenzione e il riscatto della Sardegna, una Italia nuova e giusta, un mondo unito, senza più guerre e oppressione.
E Gramsci parla ancora oggi a tutti gli intellettuali, a tutti i democratici, a tutte le forze di progresso che emergono e si affermano nella società italiana. L’esempio di Gramsci ci esorta tutti a combattere, a non disarmare, a costruire il nuovo.
Enrico Berlinguer
Quella è una fotografia fatta da me Nicola Ricciuti quando allora collaboravo con Giuseppe Podda allora corrispondente dalla Sardegna dell’Unità e direttore di Rinascita. Feci le foto, e grazie all’amico Attilio Manca, ora scomparso, fotografo dell’unione Sarda le stampammo immediatamente e le mandai in fuori busta alla redazione dell’Unitá a Roma che le pubblicò il giorno dopo in prima pagina.
Bellissimo ricordo…
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