Il guardiamarina Hassan, sorridente ma scuro in volto, scuro di pelle, alza la mano piena, e mi mostra il “5”, cinque dita. Cinque giri di corsa intorno al piazzale. Livorno, Accademia Navale, anni ottanta. È la mia prima punizione da allievo ufficiale, corsi di complemento. Che delitto ho commesso? Inavvertitamente, soprappensiero, mentre pranzo nell’affollata, elegante, sala mensa, violo il galateo, poggiando il gomito sulla tavola. Penso:”Chissà quanti giri di corsa avrà fatto il Signor Hassan, ufficiale di origine libica, con viso scuro e sorriso dai denti bianchissimi, prima di diventare Ufficiale?” Chilometri e chilometri. Tanta strada, come le miglia che oggi percorrono i suoi conterranei in cerca dell’Italia, dell’Europa.
I giri di corsa fanno il paio con il peso della cultura. Almeno una ventina di libri per noi delle Capitanerie di Porto. Ce li consegnano uno sopra l’altro e ci fanno aspettare mezz’oretta. Tanto basta. Già dopo dieci minuti i primi malori, ai limiti del collasso. Ne usciamo duramente provati ma vivi. Si fa per dire. Sveglia alle sei del mattino. Nessuna pietà, un salto dal letto, letto da rifare in una manciata di minuti, mettere in ordine, vestirsi. E lavarsi? Non c’è tempo. Forse domani. Forse approfittando dell’ora di nuoto. Ma la porta della piscina è sbarrata, perché c’è da studiare “navigazione piana” e “meteorologia”. Sono indietro, non capisco i rilevamenti, i venti, i calcoli. Ho una laurea in lettere, dimestichezza con le parole, ma certe categorie non mi appartengono. Non c’è tempo la mattina, non c’è spazio in piscina e dunque non c’è modo di lavarsi. A volte è l’apparenza che conta, maglione elegante, blu navy, e sotto il trionfo del lercio.
Ma l’Accademia è una creatura splendente, ricca di storia, di fascino, di cultura. Il brigantino interrato, che domina il piazzale e sorveglia il mare, è una presenza monumentale e sobria al tempo stesso. Il Comandante del corso è un Capitano di Fregata con barba e baffi, non privo d’ironia, sul petto le tracce di una carriera frenetica, sommergibilista e paracadutista.
È l’anno delle Falkland. La Thatcher si riprende a suon di cannonate le isole contese dai militari argentini. I telefonini sono un’invenzione ancora non prevedibile. Internet e i social, inimmaginabili. Restano i giornali. Che consultiamo in una grande sala, verso sera. Informazioni poche e in ritardo. Mentre Margaret, la Lady di Ferro, fa l’impresa, conversiamo tra di noi e con i barman. Tutto questo mi ricorda qualcosa. Ma sì, è la fotocopia di una scena di Shining. Mi aspetto, da un momento all’altro, la smorfia folle e beffarda di Jack Nicholson. E perché no? C’è anche spazio per il cinema. Vediamo Niente di nuovo sul fronte occidentale. La guerra, le atrocità, i giovani, le vite stroncate per motivi incomprensibili. Ci penso mentre usciamo in barca a vela nel cielo azzurro di maggio e il vento ci porta al largo, con i nostri maglioni blu come il mare. Con i pensieri che corrono da Livorno a Cagliari.
Eccoci. Le Falkland sono lontane. Quasi quarant’anni prima dei viaggi della speranza, dei migranti che cercano accoglienza. Hanno la stessa faccia del guardiamarina Hassan. Come lui vengono dalla Libia. Scuri in volto e non solo per il colore della pelle. Per loro è tutto difficile. Com’è difficile il lavoro prezioso delle ONG e quello della Guardia Costiera, di marinai, ufficiali e sottufficiali che si sono formati a Livorno, La Spezia, Taranto. Nelle nostre città che s’affacciano sul golfo, che s’assomigliano per colpo d’occhio, carattere e sensibilità. La legge del mare che gli Allievi Ufficiali apprendono sul “Vespucci”, la più bella nave del mondo che attraversa gli oceani e mette in comunicazione i continenti. Nave Scuola. Scuola di vita. Anche per il guardiamarina Hassan che ha subito ed inflitto la disciplina, ma ha imparato le regole, la solidarietà, che – contro chi semina odio e brutalità – illumina linguaggi e coscienze, in Europa e nel Globo.