Buggerru è un posto bellissimo.
Questo per chiarire subito che non sono di Fluminimaggiore.
Prima di questa esperienza, le mie visite a Buggerru si contavano sulle dita di una mano.
Avere il privilegio di conoscere un luogo svolgendo un servizio importante per la comunità lo reputo un lusso. Che questo servizio importante per la comunità sia stato svolto bene dal sottoscritto non lo so, ma di sicuro mi sono impegnato.
Il cielo sopra la Piccola Parigi profuma di storia, anche se, in alcuni punti del paese, il profumo che si sente non è proprio quello della storia. Tra l’ufficio postale e la stazione dei Carabinieri in via Roma, a volte, gli odori sono pestilenziali. Mi è stato detto che c’è un problema nella rete fognaria: mi fido ciecamente.
La storia, dicevo. I fatti che hanno portato all’eccidio dei minatori di Buggerru nel 1904 sono stati decisivi per la proclamazione del primo sciopero generale in Italia.
Buggerru, agli inizi del 1900, aveva un teatro, un cinema, un ospedale, le scuole e soprattutto una società straniera che sfruttando i giacimenti minerari nei dintorni ha portato l’Industria con la “I” maiuscola in questo angolo del Sulcis.
Si dice che all’epoca Buggerru e le sue frazioni contassero quasi 8000 abitanti. Non so se crederci, ma di sicuro ci vivevano tante persone.
Nel 1960 Buggerru è stata la prima frazione in Italia a ottenere l’autonomia amministrativa, tramite referendum popolare. Una bella targa commemorativa al Comune lo ricorda orgogliosamente.
Spesso può capitare perfino di incontrare per strada Vittorio Pusceddu, grandissimo terzino sinistro del Cagliari anni 90. Ricordo ancora il suo gol da calcio d’angolo contro il Foggia e quello contro l’Inter in Coppa UEFA nel 1994. Un mio caro amico direbbe: Potente, ah?
Buggerru mi ha rapito, non c’è dubbio. È stato un vantaggio per me poterla conoscere facendo il postino. Ho prima conosciuto il tessuto urbano, poi, pian piano, i suoi abitanti.
Il villaggio si arrampica sulla montagna e il panorama dalla strada provinciale 83 lascia senza fiato. Il mare, il maestrale, il cielo, l’umidità fanno il resto.
Dall’alto si può facilmente notare come la strada provinciale divida il paese in due parti.
Da una parte, in alto, Monte Beccu con la sua nuova zona urbana di espansione, non proprio bella da vedere, ad essere sinceri.
Dall’altra parte, il centro del paese, che partendo dalla Chiesa va a terminare dolcemente sul porto dopo una serie di curve che percorse in auto ti riportano subito sui circuiti di Laguna Seca e Montecarlo. La complessità dell’incrocio tra via Diaz, via del Minatore e via Ospedale non ha niente da invidiare alle famose curve del Portier o del Cavatappi.
Il porto o porticciolo turistico meriterebbe un discorso a parte. È vox populi in paese che abbiano costruito – cito testualmente – una cagada.
Parte del porticciolo turistico è insabbiato, quindi inutilizzabile. Probabilmente c’è stato un problema tra progettazione ed esecuzione del lavoro.
In vita mia, forse, solamente “la passeggiata” davanti al porto di Calasetta mi ha fatto sorridere maggiormente.
La petite Paris, un paese di poco più di 1000 anime, vive e si nutre in scala minore di tutte le dinamiche tipiche di una città.
Sotto l’aspetto antropologico i buggerrai sono un mix incredibile delle più svariate provenienze. È proprio per questo motivo che i suoi abitanti sono da considerare dei cittadini e non dei paesani.
Buggerru è una comunità basata più sulla somma delle singole individualità che la compongono che non sulla omogeneità delle radici. Buggerru fonda la sua identità sulla sua eterogeneità.
Da ciò che mi è stato raccontato, questa non la si notava per nulla, nei derby calcistici contro il Fluminimaggiore.
Le leggende narrano di partite molto sentite con immancabili interventi da tergo, risse finali e arbitri scortati per poter tornare a casa sani e salvi. Roba da far impallidire i derby di Belgrado tra Partizan e Stella Rossa.
La Miniera, dicevo. La Miniera ha avuto il grande merito, come in altri luoghi qui in Sardegna, di fungere da calamita attirando gente da tutta Italia e dall’estero, creando quel melting pot culturale che nei primi anni del ‘900 non era di certo la norma da queste parti, tranne rarissime eccezioni.
Non ho mai chiesto ai vari Cavassa, Di Palma, Esposito e Andreuccetti se il loro arrivo in paese coincidesse col boom della miniera. Consegnando la posta capisci subito che i cognomi non sono tutti originari di questa zona ed è bellissimo scoprire le origini di ogni famiglia. Nei tempi morti, durante la firma di una Raccomandata o la consegna di un pacco, riesco a immagazzinare ed elaborare una quantità di informazioni che il Supercomputer del CERN mi farebbe un baffo. Quei tempi, cosiddetti morti, di morto non hanno nulla. Non c’è spazio per gli small talks.
La maggior parte delle persone mi tratta bene, anche se, a volte, qualcuno si arrabbia per la consegna errata di qualche lettera. Il 70% degli indirizzi in paese sono sbagliati o non aggiornati, quindi per recapitare la posta bisogna essere vigili e avere una memoria di ferro.
Se applicassi alla lettera le regole e le procedure di Poste Italiane molto probabilmente consegnerei una media di 5 lettere al giorno di cui 4 indirizzate al Comune di Buggerru. Per non parlare dei casi di omonimia o di chi non ha manco la cassetta delle lettere all’esterno della propria abitazione, «poita est lègia, non mi pràxit a da ponni.»
C’è chi invece usa come cassetta delle lettere la propria auto e per evitarmi di fare 2500 scalini mi ha proposto un accordo. «Lascia pure la posta dentro l’auto così ti evito la scarpinata». Dopo un primo momento di smarrimento ho accettato convintamente, anche se poi ho dovuto imparare la targa della vettura a memoria, perché la prima volta ho provato ad aprire un’auto che non si prestava a cassetta delle lettere.
La verità è che non avevo considerato che nella stessa via, dall’altro lato della strada, ci fosse un’auto identica, anch’essa colori ‘e cani fuendi. La mia passione per l’industria automobilistica, in questo caso, non è stata d’aiuto.
Le due auto in questione sono della stessa serie, anche se di annate diverse: il restyling è stato minimo.
Come in tutte le storie a lieto fine, notando la busta del pane fresco sul sedile anteriore, ho capito di aver azzeccato l’auto giusta.
La soddisfazione aveva però un retrogusto amaro. Evidentemente questo accordo era stato preso anche con altri stakeholders locali. Devo essere sincero: ci sono rimasto un po’ male. Pensavo di essere l’unico autorizzato.
In compenso potrò dire per sempre di essere stato il postino di Buggerru e questo mi riempirà d’orgoglio e mi farà entrare di diritto in club ristretto, davvero esclusivo.
Roberto Madeddu nasce per caso a San Gavino Monreale. Cresciuto a Iglesias, si è spostato spesso negli ultimi anni. Curioso e attento osservatore di quello che succede nel mondo, non tollera la cannella e ripete da anni che lo zafferano costa più dell’oro. Dopo qualche anno all’estero si trova attualmente in Sardegna, in attesa di nuove avventure.
Bellissimo questo racconto!!! Sono stata a Buggerru, per la prima volta in vitaa mia, quest’estate in agosto e ci sono tornata a settembre. Perché? Me lo dica lei!!!
Cara Alessandra,
Grazie per il complimento. Penso la risposta sia già nella tua domanda. Sei tornata a Buggerru perché ti ha lasciato qualcosa. Personalmente torno sempre nei posti dove mi sento a casa.
Sarà stato così anche per te?
Ottima e avvincente narrazione !!!…complimenti vivissimi all’ autore !!!…purtroppo ho visitato Buggerru solamente una volta ,da ragazzo nei primi anni 80 !..un ricordo splendido per la bellezza dei luoghi e la affabilità degli abitanti !!!… adesso ho 60 anni mi riprometto ogni anno di tornarci ma ancora non ci sono riuscito. So però che prima o poi un salto riuscirò a farlo di sicuro !!…
Un caloroso saluto a tutti !
Assolutamente sì Nicola. Cerca di rivisitarla il prima possibile. Ti consiglio di andarci durante l’inverno e magari trovare una giornata di maestrale; sarebbe uno spettacolo!
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