I dati non sono ancora definitivi, ma la vittoria del candidato del centrodestra è certa. Non c’è stato mai il “testa a testa” pronosticato ieri sera dagli exit poll. C’era una testa sola, quella del senatore Christian Solinas. Già dopo due ore dall’inizio dello spoglio l’atmosfera nella sede del comitato elettorale di Massimo Zedda – una sala dell’hotel Panorama di Cagliari – era tesa. A fine mattina era funerea. Anche se – si faceva notare – i dati reali che via via emergevano non erano, quanto a Zedda, così diversi dagli exit poll. Che non avevano tanto sovrastimato Zedda, quanto largamente sottostimato Solinas. E’ probabile che parecchi di quanti sono stati interpellati all’uscita del seggio non abbiano detto tutta la verità agli intervistatori. Come se un po’ si vergognassero.
Un sentimento comprensibile. Col voto di ieri la Sardegna si è consegnata a un governatore designato dal capo di una forza politica che fino a poco tempo fa insultava i sardi assieme a tutti i meridionali, prima di sostituirli con gli immigrati stranieri: “Per tirar la conclusione /sulla razza del terrone / che comprende quella sarda /voterem Lega lombarda”. Ricordate? A quanto pare non tutti. Cade definitivamente, col voto del 24 febbraio 2019 – data destinata a passare alla storia, quantomeno locale – il luogo comune attorno ai sardi orgogliosi e rancorosi. La maggioranza degli elettori (che fortunatamente è ben lontana dalla maggioranza dei sardi) ha dimostrato una capacità di perdono evangelica. Forse sarà avviato il processo di beatificazione.
Sono tanti a poter rivendicare il merito di questo risultato. Certamente Matteo Salvini che è riuscito a poco prezzo (un posto da senatore) a impadronirsi della bandiera dei Quattro mori e, tra l’altro, a riportarla alla simbologia più semplice: le teste di quattro “clandestini” sbarcati chissà dove e chissà quando. Il sistema locale dell’informazione che ha impedito a larga parte della popolazione di conoscere il curriculum del candidato e le sue gesta universitarie dalla Sardegna al New Mexico, da Sassari a Bucarest, al fallimento della Flotta sarda. Infine Christian Solinas stesso che è riuscito a condurre l’intera campagna elettorale nascosto nella valigia di Matteo Salvini, dimostrando a dispetto della mole doti da contorsionista che in confronto le anguille sono barre di titanio.
Una parte del merito, infine, va al Partito democratico che, ricandidando l’intero gruppo consiliare uscente, ha aggravato il già pesante bagaglio di Massimo Zedda di un peso evidentemente apparso insopportabile a una parte importante dell’elettorato che era stato di sinistra e che ha continuato a restare a casa. Qualcuno forse ha preso un po’ troppo alla lettera quell’esigenza di “discontinuità” che era considerata un po’ da tutti un ingrediente essenziale per il successo elettorale. Anzi, va colta questa occasione per ribadirlo: cari amici del Pd, “discontinuità” non vuol dire che devi far vincere la parte politica avversa salvando il tuo posto. Vuol dire che devi a volte rinunciare al tuo posto per far vincere la tua parte.
Probabilmente senza quell’exit poll ingannevole, l’atmosfera nel comitato elettorale di Zedda sarebbe stata meno cupa. Il risultato del sindaco di Cagliari è stato ben superiore rispetto a quello della sua coalizione. Il centrosinistra, che dopo le Politiche di un anno fa sembrava defunto, raccoglie un terzo dell’elettorato. Il Movimento 5 stelle perde ben più che altrove. Al netto dell’apporto del Pd, il primo partito è quello di Zedda. Nel corso della campagna elettorale si è in parte ricomposto un mondo che non aveva più un luogo dove stare. Non ci sarà tempo per mangiare i pop corn. Purtroppo non tarderemo ad assistere agli effetti del combinato disposto tra il governo Salvini-Di Maio a Roma e la giunta Salvini-Salvini a Cagliari. A Zedda l’augurio di riuscire a conservare il luogo che, con pochissimi contributi esterni, ha cominciato a costruire. Il luogo ora c’è. Si tratta di difenderlo, di aprirlo e di ampliarlo.