Se alla rotonda di Zeddiani chiederete informazioni per giungere in paese, vi sentirete rispondere sarcasticamente “Santeru sa idda ‘e su disisperu”. Se invece preferirete le dichiarazioni d’amore e le gomme da masticare della corriera Oristano -Abbasanta, qualche passeggero vi indicherà la fermata con un lapidario “Beirut”.
A destinazione vi darà il benvenuto il cipollone del campanile di Santa Sofia, intento a vigilare sull’agibilità delle case del centro storico, reduci di una qualche calamità o bombardamento bellico. Sono le cicatrici di un conflitto interiore. Una corsa agli armamenti tra la brillantezza futuristica degli infissi in alluminio e la nostalgia decadente delle vecchie case campidanesi.
Sorto lungo il confine tra Campidano e Montiferru, San Vero Milis combatte nella trincea tra i ricordi di un passato contadino e il timore che i tempi moderni sbarchino sulle rive del Sinis per distruggere la sua identità. Così ladiri dilavati, portoncini in pvc di foggia inglese, stucchi veneziani e blocchi di tufo vergini di intonaco vi accompagneranno nel percorso che si dinoccola verso piazza di chiesa per poi sfociare sulla strada per Milis, ultima sosta della corriera.
Lì, al numero 1 di via San Lussorio, accanto alla cabina Enel e bacheca dei necrologi, i capannoni vi indicheranno che un tempo vi si produceva il miglior vino di Italia. Cantina Vernaccia Josto Puddu.
Ne is magasinus dei superstiti che la producono in casa se ne parla ancora. C’è stato un periodo glorioso per l’enologia del paese:
-Ci venivano tutti. Enologi dal continente, giornalisti, giocatori del Cagliari. Pure tipi arabi de s’Aga Khan a chiederne a boccioni per festeggiare non so itta stoccada in Costa Smeralda-.
San Vero riluceva d’oro. L’oro della Vernaccia.
Se deciderete di approfondire l’argomento bussando a is portais di quegli anfratti in cui sonnecchiano le botti dei vari Orrù, Zedda, Gallisai, Seda, Solinas, Ledda… forse è davvero meglio giungere in paese con la corriera.
Andateci nel tardo pomeriggio, o poco prima di pranzo. Troverete il proprietario disposto a versarne un po’ assieme a qualche aneddoto.
Portatevi da casa il boccione in vetro. Niente plastica. Giustificata solo se dovete spedire in continente. Prima di vendervela, il proprietario vi farà assaggiare il contenuto di ogni botte. Conviene sedersi: le botti non sono mai meno di cinque.
Vi farà compagnia qualche ritaglio di giornale, una foto di Matteoli seduto sul vostro stesso scannigheddu, e mentre la bocca verrà folgorata dai sentori di salsedine e mandorle, diventerete parte della storia che il vostro anfitrione inizierà a raccontare:
– Dopo il Vinitaly, mi nd’arregodu poita si fadiant su giru de is magasinus, ci venivano spesso qui in paese, Luigi Veronelli, Mario Soldati… ita ti parid custa?
E tra i vapori dell’alcol li riconoscerete anche voi, Veronelli e Mario Soldati sbarcare a Porto Torres, salire sul treno per Oristano e da lì attendere una corriera – Scusi, signora: è questa che passa a San Vero Milis? – e sentirsi rispondere – Uhmm, Logu bellu! Il paese del disispero! – e infine scendere nel piazzale polveroso della cantina.
“Vernaccia della Valle del Tirso” recita ancora una insegna sconsolata sopra il cancello.
La vernaccia di Josto Puddu vinse la sua prima medaglia d’oro al Vinitaly 1979. Viene difficile capire come possa aver vinto una simile competizione, in mezzo a tutti quegli enologi in grado di plagiare la natura, mentre la Vernaccia è un vino fatto a sa santeresa, con quell’abbandono per il quale il paese viene canzonato. Lasciato a coprirsi di uno strato di lieviti in una botte scolma.
Quella del ‘79 la teneva in una damigiana tappata con una lampadina – questa è una delle versioni che sentirete mentre vi si spilla un altro bicchiere – mancu si nd’arregodada de dda tenni… ajò, tasta cust’atra! Bella? –
Poi arrivarono altre bottiglie: vermentino, nieddera, bovale. Il paese intero raccontato da quelle etichette: Cala Saline, Don Zamus, Torremora. Così qualche emiro dalla Costa Smeralda di colpo si ritrovava in mezzo al lentisco e al sale di Capo Mannu, oppure sentiva il sapore de sa tramatiga sperrada le sere di agosto e la voce secca di quel dialetto indeciso se schierarsi col Campidano o col Montiferru.
Poi, piano piano, come l’accumularsi della polvere, mentre qua e là si assisteva al rifiorire di vecchie e nuove cantine, a San Vero l’insegna gloriosa della Cantina Josto Puddu diventava sempre più scolorita.
Dicono sia un paese fatto a fundu in susu, che non sia in grado di perpetuare nulla, privo del senso degli affari dei suoi vicini milesi. O forse è solo che la vernaccia per San Vero è una faccenda intima. Una questione di ricordi, storie e foto di famiglia. Le troverete ancora se seguirete le orme di Veronelli, Soldati e altri avventurieri, lontano dalle piste del turismo patinato. Prendete la corriera per Abbasanta o imboccate l’uscita al km 96 della SS131. Riposano in qualche magasinu. Sotto la coltre dei lieviti in una botte scolma.
Dario Dessì
Leva 1986. Laureato in Lettere all’Università di Cagliari. Ha trascorso un’infanzia serena rubando mandarini dagli orti dietro la chiesa a San Vero Milis e pregando il nonno di fargli assaggiare la vernaccia. Alterna il lavoro di barman con quello della penna. Fa parte del collettivo “Scrittori da Palco”.