Io m’immagino Antonio Gramsci di nuovo tra di noi, passeggiare per le sue strade di Ales, Ghilarza, Santulussurgiu, Cagliari, Torino, Roma. “Uno spettro”, fatto “della stessa sostanza dei sogni”, che percorre – con passo agile e deciso – gli scenari d’Italia e d’Europa. Davanti ai suoi occhi indagatori lo spettacolo non nuovo di una sinistra confusa, in difficoltà, che stenta a frequentare alcune invenzioni linguistiche e culturali senza età. Come l’egemonia, che invita ad avventurarsi lungo sentieri tortuosi e non ancora esplorati. Che illumina i suoi scritti visionari, capaci ancora di liberare idee, intuizioni, di suggerire progetti, visioni.
Volevano impedire al suo cervello di funzionare, dietro le sbarre del carcere fascista e fortunatamente non ci riuscirono. Ma, se ci fossero riusciti, Gramsci sarebbe stato comunque un protagonista del nostro Novecento. E se avesse trovato spazio in altro campo? Se sul politico geniale avesse prevalso il prodigioso critico teatrale?
Eccolo Nino, nel 1908. Ha 17 anni. Vive col fratello Gennaro e frequenta il liceo Dettori. Cagliari è una città ancora scossa dai moti contro il carovita del 1906. È culturalmente vivace, ci sono due teatri, il Civico e il Politeama Regina Margherita. E lui – cito dalla biografia di Giuseppe Fiori – è “studente scapigliato”, “loggionista tumultuoso”. Divertito, irriverente, incurante del giudizio dei benpensanti, di quelli che si piegano al vento del senso comune, si descrive così: ”Per la mia splendida criniera, che mi ondeggia ad ogni soffio, mi hanno preso per una ragazza e si sono meravigliati che una donna facesse tanto chiasso in un teatro, perché vedevano solo la testa e una mano che faceva un sonoro pennacchio. Io non me la sono presa a male, anzi ho ringraziato dell’attenzione che mi usavano.”
Sembra il ritratto di un un poeta futurista che, dalla platea, contesta i confezionatori di drammi insinceri, di intrecci con personaggi di cartapesta. Così come a Torino, la città della scelta marxista, dalle pagine de l’Avanti! riserverà offensive fulminanti, al vetriolo, agli autori del teatro borghese, digestivo, in cui il pubblico sonnecchiante ama rispecchiarsi. E scoprirà per primo Pirandello, i grotteschi, quelli che rovesciano le commedie zeppe di falsa coscienza. Un linguaggio assolutamente rivoluzionario, che s’innerva sul Secolo Breve (da Sergio Tofano a Carmelo Bene, da Petrolini a Troisi) per arrivare ad oggi, a chi ancora cerca di orientarsi su tragitti sconosciuti. Senza dimenticare Nino Gramsci, quello “studente scapigliato”, quel “loggionista tumultuoso”. Quel ragazzo come tanti, inquieto, curioso del mondo, affamato di libri e teatro, che ancora non sapeva cosa avrebbe fatto da grande.
Attilio Gatto
(illustrazione di Stefania Morgante)