Ricordo di Giuseppe Podda. Il giornalista che amava Cagliari. E il cinema

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Il giornalista Giuseppe Podda (Cagliari, 1930-2007)

Ore 15. Portici di via Roma. Cinema Olympia. “Il rito”. Che poi è il titolo di un film di Bergman. Ma lui, il giornalista che amava la Cagliari dei tempi andati, non aveva negli occhi gli scenari algidi del maestro svedese. Era dar corso al sentimento popolare nel quartiere affacciato al porto, entrare nell’oscurità della sala al “primo spettacolo”. “Il rito”, appunto. Lui, il giornalista, aveva contagiato anche il nipote. Si sedevano nelle ultime file. E via alla vorticosa sequenza di immagini, che s’affollavano nel sogno cinematografico. Ma l’Intreccio, la storia contava fino a un certo punto. Perché il giornalista era campione mondiale d’insofferenza. Non sopportava la regola del silenzio davanti alla sacralità della pellicola. E allora dialoghi degli attori interrotti da commenti caustici, critiche sferzanti in tempo reale. E pazienza se gli altri spettatori guardavano minacciosi. Il giornalista, impassibile, interagiva col film, lo viveva a suo modo. E poi si confrontava con l’esperto più esperto di tutti, “la maschera”, l’addetto al controllo dei biglietti, l’intrepido che con la torcia squarciava il buio. Era lui che aveva il polso della situazione, più del più raffinato intellettuale formatosi sulle lezioni di regia di Sergej Ejzenstejn.

Dalla “maschera” tutte le informazioni sugli incassi del film, su età e estrazione sociale del pubblico, sull’affluenza e anche sulla qualità del prodotto. Meglio del più affidabile sondaggio. Così per dieci, cento, mille proiezioni. Un linguaggio misto, interrotto, frammentato, che liberava parole nuove o di nuovo senso. Un montaggio d’invenzioni che costruiva la grammatica della fantasia.

Il giornalista che amava la Cagliari dei tempi andati è Giuseppe Podda. Scomparso nel 2007, era nato a Cagliari nel 1930 e poco più che bambino aveva vissuto i bombardamenti delle fortezze volanti nel ‘43. Lo ha raccontato nei tre volumi di Cagliari al cinema (Aipsa edizioni). Dalle sue pagine una città ferita a morte, migliaia di vittime, ma anche già pronta a risollevarsi, come è accaduto dopo la Liberazione dal nazifascismo.

Figlio di pescatore, Podda abitava alla Marina, via Sardegna, e andava al cinema della manifattura tabacchi, il Due Palme. Ma gli piaceva anche L’Eden, via Roma, dove porte da saloon e specchi deformanti accoglievano ballerine e comici di varietà. Lui conosceva i nomi di tutti. Soprattutto era grande esperto di cinema anni Trenta, quello dei “telefoni bianchi”.

A ogni film abbinava trama, attori, regista, curiosità. Degli attori sardi ricordava sempre Rubi Dalma, la nobildonna di cui s’innamorava un giovanissimo Vittorio De Sica ( lo sapevate che suo padre, Umberto Efisio, era cagliaritano? ) che interpretava un giornalaio elegante e intraprendente nel film di Camerini Il signor Max. Intanto si avvicinava la Liberazione e nelle sale apparvero pellicole nuove come Ossessione di Luchino Visconti e I bambini ci guardano dello stesso De Sica. E seguì l’affresco del neorealismo. Ma è bello ricordare un film del 1962, diretto dal cagliaritano Nanni Loy, Le quattro giornate di Napoli, quando la città tutta insorse e cacciò le truppe della Wehrmacht prima dell’arrivo degli Alleati. È dedicato all’undicenne Gennaro Capuozzo, medaglia d’oro al valor militare, morto con una bomba in mano, pronto a lanciarla contro i carri armati tedeschi.

Nanni Loy e Giuseppe Podda amavano Cagliari, la sua vitalità, dai bastioni di Castello alle discese della Marina, la sua volontà di rialzarsi e guardare avanti dopo la dittatura. Nel dopoguerra – la città affamata, distrutta – i cagliaritani si rimboccarono le maniche per ricostruirla: sullo sfondo la bellezza della “spiaggia quasi africana” di Giaime Pintor e, nel ricordo del fratello Luigi, “il suo vecchio quartiere arrampicato nella roccia”. Ma anche il buio della sala, il sogno impersonato dal cagliaritano Amedeo Buffa, che diventò un mito col nome della madre, Nazzari.

Ore 17. l’incanto cinematografico era finito. Il giornalista e il nipote, con i dannati del “primo spettacolo”, guadagnavano l’uscita dell’Olympia. Con passo frettoloso, s’immergevano nei portici di via Roma. Erano pronti per il prossimo film del primo pomeriggio. Per il prossimo “rito”.

Attilio Gatto