Dice cose interessanti Sergio Chiamparino attuale presidente della Regione Piemonte, oltre che candidato alla stessa carica nelle prossime elezioni regionali. Dice che il baricentro della colazione che lo sostiene sarà non il Partito democratico, ma un movimento: “Sì per il Piemonte del Sì”. Nega, lui che è un dirigente storico del Pd, di volersi smarcare dal partito, sostiene invece di volerlo aiutare ad essere inclusivo: il “Piemonte per il Sì” a cui Chiamparino si rivolge è quello che, insieme ad altre occasioni di sviluppo e di iniziativa per la Regione, ha a cuore il completamento della Tav.
Mi pare significativo che Chiamparino abbia incentrato la sua campagna su un tema che divide il suo stesso potenziale elettorato, una sorta di lezione “antipopulista” (se populismo è promettere tutto a tutti). C’è poi un altro elemento di sicuro significato nazionale nella sua campagna, il legame dichiarato con il movimento “Italia in Comune” creato da Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma, in origine eletto coi 5 Stelle ma poi distaccatosi da loro.
Insomma, il problema che Chiamparino deve affrontare è quello di trovare la giusta distanza dal Pd, da cui nessuno schieramento progressista può ovviamente prescindere ma che al momento è appesantito da una crisi che l’attuale inintelleggibile discussione interna sta ulteriormente aggravando. Un problema che è poi, così a me pare, lo stesso di Massimo Zedda. Con delle differenze, alcune delle quali possono giocare a favore del sindaco di Cagliari, mentre altre no. La prima di quelle a favore è che Zedda non è del Pd e perciò ha nei confronti del Pd l’autorità del candidato forte del proprio personale prestigio. Vero è che il Pd, per quanto sconquassato, continua a testimoniare, con la sua pura esistenza, anche la sopravvivenza di una sinistra riformista: quanti si riconoscono nella storia della sinistra – come chi scrive – nella direzione del Pd continuano a guardare alla ricerca di una fiammella di speranza, per quanto esile e tremolante.
Ma le elezioni, anche quelle regionali, sono cosa seria e dura, in cui alla fine non contano le buone intenzioni e le idee generose, ma i numeri: chi vince e chi perde tra i candidati alla presidenza della Regione, chi vince e chi perde tra i partiti in lizza, chi viene eletto consigliere regionale e chi invece il denaro speso per la campagna elettorale – poco o molto che sia – l’avrà buttato al vento.
A proposito di soldi: sono tempi grami per i partiti e soldi ne girano molto meno di un tempo, per cui quelli che sembrano avere maggiore disponibilità sono attualmente i consiglieri regionali uscenti. Da loro, infatti, si attende un’autocandidatura in massa, che davvero non sarebbe una novità ma che nella situazione attuale porrebbe gravi problemi a quelle forze politiche che più di altre hanno bisogno di presentarsi con una veste rinnovata. E chi più del Pd -in particolare del Pd sardo – ha bisogno di presentarsi all’insegna del rinnovamento? A parte la discussione sulla legge urbanista, che ha lacerato il partito, ma che è stata una discussione seria su un tema decisivo, consiglieri regionali e parlamentari del Pd sono sembrati sino ad ora impegnati soprattutto in una resa dei conti tra notabili e correnti nella quale il pubblico non ha percepito il respiro della politica vera, quella che serve alla gente e che è fatta di programmi e progetti. In questa considerazione ricomprendo quanto ha scritto Lilli Pruna a proposito dell’atteggiamento del centrosinistra in relazione alle tematiche del lavoro, questione di grande rilievo sulla quale il Pd dovrebbe avviare una riflessione profonda.
Forse è fatale, comunque, che le cose vadano in questo modo. Lo dicevano anche gli scienziati della politica di inizio Novecento, Pareto, Max Weber e compagnia bella: tanto più un’organizzazione è impantanata nella crisi, tanto più si concentra sui problemi della sua struttura interna, tanto più diviene incapace di guardare fuori di sé. Ci vorrebbe un miracolo, un’alzata d’ingegno perlomeno, del tipo di quella trovata dal barone di Münchhausen il quale affondando in una palude trovò modo di uscirne tirandosi fuori per i propri capelli.
Luciano Marrocu