Un recente intervento di Massimo Dadea su questo giornale, ha ricordato a chi avesse in mente un’isola delle vacanze bella e incontaminata, le emergenze ecologiche della Sardegna, frammento di un problema planetario, che sembra interessare poco a una politica in perenne campagna elettorale. Accogliamo quindi con favore il progetto Sardegna, terra da abitare, bellezza da custodire promosso dalla Conferenza Episcopale Sarda, con l’intenzione di raccogliere la “sfida urgente di proteggere la nostra casa comune”, lanciata da Papa Francesco nella sua Lettera Enciclica “Laudato sì”.
Tra le varie iniziative segnalo il progetto fotografico realizzato da 10 fotografi nelle aree delle dieci diocesi della Sardegna. I fotografi coinvolti sono: Pierluigi Dessì, (area Santa Gilla di Cagliari); Roberta Masala (area Portovesme); Anna Piroddi (area Ogliastra); Gigi Murru (area Pratobello, Nuoro); Simona Sanna (area lago Omodeo); Marianna Ogana (area Porto Torres) ; Mario Arca (area Tossilo, Campeda); Tiziano Canu (area costa Olbia); Stefano Pia(area Monte Arci); Tiziano Demuro (area Foresta Burgos).
La mostra fotografica, inaugurata domenica 7 luglio negli spazi all’aperto dell’Anfiteatro Caritas di Tortolì, all’interna della manifestazione “Festa dei popoli. Tanti popoli, un solo popolo” resterà aperta sino al 7 settembre 2019. Sottolinea giustamente Salvatore Ligios, curatore e editore del catalogo, che occorre guardare con un certo distacco queste foto separando opportunamente il concetto di “paesaggio” con quello di “ambiente” per non cadere nella tentazione di valutare un problema complesso esclusivamente con un metro “estetico”.
Infatti questa non è una mostra dei belle cartoline, è piuttosto un lavoro centrato sui contrasti, sulle disarmonie che lo sfruttamento dei luoghi e il loro abbandono ha determinato in rapporto ad ambienti, pur abitati e sfruttati dall’uomo, che mantengono una loro aderenza al disegno divino cantato da San Francesco. Vale la pena di analizzare brevemente i lavori proposti che declinano il tema con visioni artistiche differenti.
Pierluigi Dessì indaga le disordinate vicende della laguna di Santa Gilla dove una edilizia spontanea è sorta ai margini di opere pubbliche grandiose (porto canale, bonifica Conti-Vecchi, ponti e linee ferroviarie) mostra uno straniante contrasto e una sensazione di provvisorio che contrasta con il carattere “definitivo” che si voleva conferire alle opere realizzate.
La Portovesme di Roberta Masala è l’evidenza di uno sfruttamento spregiudicato del territorio. L’aria di abbandono che si respira in questi spazi smisurati certifica l’incapacità della politica sarda di gestire decentemente qualunque processo di trasformazione industriale.
Anna Piroddi evidenzia i contrasti fra l’aeroporto di Tortolì, nato con la Cartiera di Arbatax nel 1963, in una visione di sviluppo industriale e commerciale dell’Ogliastra e ora in stato di abbandono, con gli straordinari paesaggi della non lontana “Scala di San Giorgio”, luogo incontaminato e ricco di fascino.
Gigi Murru parte dalvillaggio abbandonato di Pratobello per condurci alla diga di Olai, ai pascoli di Pradu, ai lecci di Montes, fino allo scempio del cantiere interrotto del Cumbidanovu. La differenza fra bello e brutto, sottolinea nel suo testo, passa attraverso quello che abbiamo costruito e mantenuto e quello che abbiamo lasciato in abbandono.
Simona Sanna ascolta il respiro del lago Omodeo e dei paesaggi intorno alla diga di Santa Chiara, opere create dall’uomo, capaci però di integrarsi e sintonizzarsi con il territorio in una nuova armonia.
A Marianna Ogana è toccata l’area di Porto Torres dove un fotografo può “vincere facile” tanto è abbondante il materiale disponibile. Ha scelto invece una strada più ardita declinando il tema con il linguaggio dell’arte. Il racconto si snoda su tavole concettuali che partono dalle origini (un tentativo di corruzione di Rovelli al sindaco di Porto Torres) mescolando frammenti di interviste degli anni del boom, visioni delle aree industriali tratte da Google Maps, l’inventario delle “puzze”, frammenti organici, brani di Jung e di E. Lee Master, per chiudere enigmaticamente con l’ecografia di un feto lasciando il finale “aperto” a ogni riflessione.
Mario Arca accosta le fabbriche di ruggine dei tanti brevi sogni industriali infranti alle attività tradizionali a basso consumo di territorio che volevano sostituire quasi a evocare un ritorno a “su connottu” frettolosamente abbandonato.
Tiziano Canu puntal’obiettivo su Olbia, città profondamente trasformata dal turismo oscillante tra nuove e non sempre rispettose costruzioni e luoghi inspiegabilmente abbandonati.
Stefano Pia racconta un monte Arci in bianco e nero fra meraviglie naturali, presenze umane armate di doppietta e ruggini di un gigantesco parco eolico mai entrato in funzione paradigma perfetto di una direzione sempre incerta.
ChiudeTiziano Demuro che racconta Foresta Burgos e il suo villaggio abbandonato dove la natura si riprende pian piano quel che era suo, in un processo di riappropriazione silenziosa.
Questi sono i lavori ed è evidente la coerenza col tema e con gli scopi del progetto diocesano illustrato dal vescovo delegato Antonello Mura: “Umanizzare la natura, renderla più adatta al cuore e ai passi dell’uomo è uncompito urgente del nostro tempo. Quando lasciamo che sia lo stupore a guidare i nostri percorsi, la natura – più che da consumare – diventa il palcoscenico in cui brindare alla vita”.
Enrico Pinna