“Vi sono momenti in cui la Sardegna sembra richiamare la mise en scene di un’opera teatrale”. Con queste parole J. E. Crawford Flitch descrive, nel suo libro “Mediterranean Moods” del 1911, il suo passaggio attraverso l’altopiano che porta al Gennargentu. Lo scrittore americano attraversa sorpreso un Supramonte che non è solo un paesaggio aspro e primordiale, ma è l’archetipo di una Sardegna aggrappata alle rocce come i ginepri piegati dal vento. Il Supramonte è stata risorsa impervia e stentata, i suoi canyon e le sue foreste incontaminate sono state rifugio, prigione, terra di passaggi e di scontri, uno splendido ed austero palcoscenico di mille storie recitate da attori schivi e silenziosi .
“Supramonte” è il titolo della mostra di Gianluca Chiai allestita presso il Centro Fotografico Cagliari di Cristian Castelnuovo, Via Eleonora d’Arborea 51, a Cagliari, in collaborazione con Manca Spazio, curata da Chiara Manca e visitabile sino al 4 agosto. Le immagini in mostra, realizzate in un anno, raccontano, in realtà, venticinque anni di frequentazione assidua e costante di Chiai in Supramonte, di studio e scoperte, alla ricerca delle condizioni ideali per immortalare in un preciso momento, il luogo scelto.
Nelle parole di Chiai scrive la curatrice Chiara Manca diventa palese l’intento del progetto fotografico e il rapporto fra il Supramonte e l’artista: “In un mondo contemporaneo, costruito con stratificazioni di apparenze e simulazioni, un luogo impenetrabile a tali pestilenze assume una valenza ancora più forte: nel Supramonte la realtà mostra i suoi segni, il caos prende forma nella purezza dello scorrere, l’alchimia della vita, prima condensazione, poi espansione, è respiro, acqua, sasso, albero, animale, è ritmo che crea melodia visiva. Tutto è lento fluire, nella lotta della vita verso un eterno ritorno”.
“Il ritorno al bianco e nero – prosegue la curatrice – annulla il tempo, le immagini potrebbero esser state scattate in qualunque momento negli ultimi cento anni, raccontano un luogo ancora aspro, acerbo, incontaminato e ostile, impervio, con le sue creste calcaree, bianche e taglienti che impediscono il passaggio, eppure segnato dall’uomo già in epoca antica, oggi i ruderi dei nuraghi, le pietre sovrapposte a marcare i sentieri, un pinnettu, raccontano il passaggio della civiltà, dalla preistoria, ai pastori fino ad oggi”.
Il Supramonte di Chiai è un mondo di segni che sopravvivono alla tentazione del colore per rivelare l’essenziale che si fa essenza e anima dei luoghi, attraverso un processo di declinazione espressiva che abbandona la maestosa e vellutata paesaggistica del Maestro Ansel Adams per connotarsi in una cifra estetica più aspra e secca, meglio adatta a raccontare un mondo, estremo e senza mezze misure, fatto di pietre aguzze, di foreste impenetrabili e di silenzi rotti dal vento che contorce i ginepri millenari.
Enrico Pinna