Non i soli comuni minerari ma tutta la Sardegna hanno subito un grave danno dall’esclusione del Parco Geominerario (PGM) dalla Rete mondiale dei Geoparchi riconosciuta dall’Unesco. Sebbene questo riconoscimento non equivalga all’inserimento nella più prestigiosa Lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità (una confusione che fanno anche commentatori di norma attenti) è tuttavia molto ambito. Il fatto non dovrebbe passare in cavalleria. È invece assai probabile che ci passi in un ambiente che ha ignorato le dimissioni, date per protesta contro l’inazione, da consiglieri e componenti del Comitato scientifico e che ha reagito con un’alzata di spalle anche alle dimissioni di Luciano Ottelli, uno che alla causa ha dedicato decenni con passione e competenza disinteressate. Infatti, per ora non si intravedono assunzioni di responsabilità ma solo scarico delle stesse. Magari saranno pure pagati premi per i brillanti risultati. E allora che almeno resti traccia dei fatti. Lasciamo che parlino.
Nel novembre del 2015 il Parco è stato autorizzato a fregiarsi del logo di Geoparco Mondiale Unesco. Merito dell’attività del Commissario pro tempore, Gian Luigi Pillola, adeguatamente supportata da non disattenti (contrariamente a quanto taluno asserisce) Ministero Ambiente e Regione intervenute anche con apposite modifiche alla normativa sul PGM. È un fatto che c’è chi quel riconoscimento lo ha ottenuto e chi lo ha perso: non sono sullo stesso piano.
Nel 2017 l’allora Commissario e oggi Presidente del Parco, Tarcisio Agus, ha ricevuto, in esito all’ispezione Geoparchi/Unesco, un ammonizione (cartellino giallo) con una serie di prescrizioni per rimettere il Parco in regola: prescrizioni, si badi bene, che non pretendono la luna nel pozzo ma un concreto lavoro in sviluppo per conseguire gli obiettivi istituzionali. Al Commissario Agus non possono essere imputate responsabilità per quell’ammonizione. Era di recente nomina e nel biennio precedente l’ammonizione, si erano succedete ben tre diverse gestioni. E però, da quel momento, adempiere alle prescrizioni è diventato un preminente dovere di quanti, con diverse funzioni, dirigono il Parco. Avrebbero dovuto preparare subito, cioè in uno/due mesi, un piano fatto di azioni, risorse e tempi. Avrebbero potuto magari documentare la necessità di aiuto esterno e chiuderla. Così non è stato.
Gli anni sono passati nell’inerzia nonostante le sollecitazioni della Regione attraverso interventi informali, riunioni verbalizzate e richiami protocollati. Solo nel 2019, in prossimità dell’arrivo degli ispettori, qualcosa di concreto e di comunque utile è stato fatto: nettamente insufficiente però per cambiare la cronaca di una morte annunciata. Si tirano in ballo mancanza di personale e di risorse. Ma al riguardo non si comprende come una dirigenza che lamenti carenza di personale abbia autorizzato il trasferimento di funzionari e dell’unico dirigente geologo competente in servizio, privandosi dunque di apporti preziosi. Quanto alle risorse finanziarie, la disponibilità è testimoniata dal vistoso avanzo di amministrazione: risorse utilizzabili sol che si facciano bene e tempestivamente, bilancio e programmazione.
La vocazione a non fare, peraltro, non riguarda solo la questione Unesco. La iconica Laveria La Marmora, affacciata sul mare dell’Iglesiente, sta cadendo a pezzi. Per il suo restauro, nel dicembre 2016, fu sottoscritto un formale Accordo di Programma fra le amministrazioni coinvolte, Sovrintendenza compresa, con l’attribuzione delle responsabilità operative e il finanziamento a valere sulle capienti e inutilizzate risorse del PGM. Di quell’accordo è stata realizzata subito l’azione della urgente messa in sicurezza di alcune parti dell’edificio. Subentrata la nuova dirigenza tutto è finito insabbiato. Il sindaco di Iglesias è buon testimone di una lunga serie di riunioni dove ogni e qualsiasi condizione posta dalla direzione del Parco per sbloccare l’intervento è stata soddisfatta: tutto vano.
Riepiloghiamo: un monumento del lavoro minerario, tra i più suggestivi, è in progressiva distruzione, ci sono risorse pubbliche assegnate ma non spese, disoccupati che restano tali: un capolavoro negativo!
E veniamo a un’altro fatto. La Giunta Pigliaru ha posto fine alla confusione dei ruoli fra PGM e la società regionale Igea, proprietaria di molti dei siti minerari. In sintesi: a far data da quella positiva decisione, Igea si occupa solo di bonifiche e cura il mantenimento in sicurezza delle gallerie museali con specifici fondi regionali; il Parco si occupa della gestione dei siti e dei beni culturali in cooperazione con i Comuni. È stato redatto e faticosamente approvato dalla Comunità del Parco, un piano di gestione dei siti prioritari: non un risultato completo ma un importante passo in avanti verso l’obiettivo di rilancio. In realtà non solo quel passo in avanti è rimasto sulla carta ma ne è stato fatto uno indietro, concreto e piuttosto lungo.
Il Parco ha, infatti, abbandonato dal 2018 ogni impegno nei siti di Porto Flavia e della Galleria Henry, perle meravigliose della civiltà mineraria. Nel 2019 ha revocato la partecipazione alla gestione del sito della grande miniera di Serbariu, restaurato e fruibile dal 2006, circa 200mila visitatori, e dell’ecoparco di Rosas, Narcao, altro mirabile esempio di recupero, fruibile dal 2008. Solo la protesta dei lavoratori e dei Comuni, raccolta da alcuni sindaci, membri del Consiglio direttivo e sensibili alla causa, ha bloccato questa ultima decisione. Curiosissimo fatto quello di un Parco che rifiuta la responsabilità di gestire il patrimonio di archeologia mineraria di cui deve invece prioritariamente occuparsi per la legge che lo ha istituito e per le risorse assegnate dal bilancio pubblico.
L’elenco dei fatti rilevanti potrebbe continuare per esempio con la mai portata a conclusione perimetrazione del Parco anche in coerenza con il Piano paesaggistico che libererebbe amministrazioni, cittadini e imprese da gravosi adempimenti. Fermiamoci qui.
Quanti hanno contribuito alla nascita del Parco con lotte e iniziative sul campo, o hanno agito in Parlamento presentando e portando all’approvazione la legge costitutiva con una dotazione annuale di ben sei miliardi di lire, e che lo hanno fatto semplicemente perché era giusto così, non possono essere non essere sconcertati. Si dirà che non tutti i danni sono stati fatti nell’ultimo biennio. E questo è vero. Ma più gestioni negative si sommano non si usano per l’autoassoluzione.
Che fare ora? La risposta è innanzitutto dei sindaci. La riforma del regime giuridico del Parco Geominerario, intervenuta nel 2017, ha posto fine al decennale commissariamento . Si è insediato, relativamente da poco tempo, un consiglio direttivo che comprende una robusta rappresentanza di sindaci. Precedentemente la partecipazione dei sindaci agli organi direttivi era interdetta. I comuni, inoltre, hanno la maggioranza delle quote del Parco come è giusto che sia. Il PGM è nato infatti per almeno parzialmente risarcire le comunità minerarie. Se si tiene presente questo scopo è facile trovare le risposte al da farsi in questa brutta situazione.
Tore Cherchi
(Presentatore della proposta di legge per l’istituzione del Parco Geominerario)