Il sole tramonta lento, nel sabato che precede il primo lunedì di ottobre.
Cala come un pennello che sfuma l’azzurro del cielo in un blu dalle striature violacee e rosse, cala su un paese che attende, che cammina, che prega, che suona. Cala mentre dalla chiesa maggiore sale la processione della Santa, quella Santa fanciulla che, ancora vergine, spaventata ma incrollabile nella sua fede, aveva sacrificato la vita pur di non rinnegare il suo Dio.
I capelli ondeggiano nella salita lungo la via che porta il suo nome, onde nocciola su cui scivolano i riflessi delle luminarie; ha un vestito rosso, di broccato, e rosari e foto e candele che la accompagnano.
Alle sue spalle le donne e gli uomini del paese, che pregano e suonano e si stringono come fossero un tutt’uno. Salgono per la strada lastricata, superando antichi portoni di legno e trachite, fino alla piccola chiesa sul colle, in cima a uno scalone. La chiesa è bianca nella sera che avanza, incorniciata dalle luci azzurre e rosse. Il portone è aperto, attende la Santa. Tutto attorno, altri uomini e altre donne.
La processione sale, lenta, ondeggiante, il vessillo rosso si staglia tra la gente, così come il cocchio d’oro. E mentre tutto si ferma, gli occhi salgono al cielo, e la cascata si accende, illuminando a giorno lo spiazzo. Salgono i fuochi, si aprono in mille frammenti di luce, che si disperdono e lenti si spengono, sostituiti da altri frammenti blu, rossi, verdi. C’è il silenzio, oltre gli scoppi. Poi tre colpi, senza luce, e l’applauso e il segno della croce. La Santa entra e lì resterà per tutta la festa, in attesa di chi la venera.
E poi ti volti, e lo sguardo si allarga, dalla cima della piazza fino all’orizzonte. Case uguali a sé stesse da sempre, riflessi antichi che si arrampicano nella pietra e nel legno come edera che tutto ricopre. Dalla piazza si alza il fumo delle baracche, nelle narici si affollano gli odori degli arrosti, la gente si accalca per scegliere anguille e muggini, dopo aver comprato il torrone migliore e i famosi pistoccheddus de cappa, dolci di pistoccu ricoperti da un manto di glassa bianca e decorati con palline colorate, scaglie d’oro o d’argento. In quelle forme, come per le nuvole, è possibile immaginare qualunque animale, anche il più improbabile, anche quello che non esiste, e sembra quasi che quei dolci siano fatti della fantasia di chi li assapora, e ci ritrova dentro un mondo intero.
Sullo sfondo Monti Mannu domina il paese. È la grande collina di Serrenti, dalla cui cima si può vedere fino al mare di Cagliari quando la foschia lo permette. Sito di interesse comunitario, è un simbolo per il paese, luogo in cui uomo e natura riescono a convivere rispettandosi. Nelle cui pendici oscilla al vento il saracchio, o su craccuri, impiegato in passato per la costruzione de sa stoia, giaciglio utilizzato dai contadini.
Dal suo punto più alto si scorge ogni angolo di Serrenti, in particolare la chiesa maggiore di Maria Immacolata, riportata ai colori originali da un attento restauro, e il campanile, degli stessi colori, ricostruito in tempi recenti dopo che, negli anni Trenta, crollò per debolezza strutturale e mancanza di risorse per proteggerlo. Da quella piazza, come un serpente sottile, si allunga via Roma, altra antica strada del paese. Arriva fino al rione di San Giacomo e alla sua piccola chiesa di pietra a vista (dedicata, a onore del vero, anche a Sant’Anna), ad altre strade strette, acciottolate, e a case di pietra, ferro e trachite.
La festa di San Giacomo è la festa dell’estate, e s’arromadura, che le dà ufficialmente inizio, uno dei suoi momenti più belli: i carri vengono benedetti e poi, una volta addobbati di erbe e fiori, sfilano per il paese, fino alla chiesa. Con quelle canne si costruirà su stabi: anch’esso verrà benedetto. E partirà la festa, s’atra festa.
Ci sono momenti con i quali cresci, che ti appartengono più del tuo stesso sangue. L’arrivo della Santa, la banda che accompagna la processione, i fuochi, la carapigna, i giocattoli che desideravi sempre quando, bambina, passeggiavi nei giorni della festa, che fosse San Giacomo o Santa Vitalia poco cambiava, la festa dell’Unità con la sua lotteria e i grandi libri delle favole comprati alle bancarelle, il 25 aprile a Monti Mannu, ognuno di questi attimi è come un’ancora che ti ricorderà sempre da dove vieni e quali sono le tue tradizioni. Che ti farà dire ‘io sono di Serrenti’ anche se ormai vivi da dieci anni a Cagliari, perché questo paese, le sue chiese antiche e semplici, i suoi portoni, la sua campagna, i suoi panorami, le sue storie, saranno per sempre marchiati a fuoco nella tua anima.
A Professor Efisio Marras, che ha raccontato Serrenti e la sua storia con passione e amore. Serrentese d’anima.
Claudia Musio nasce a Serrenti (Cagliari) nell’agosto del 1981. Ingegnera elettrica, ama da sempre scrivere. Preceduto da Streghe (Aipsa, 2002), La Sposa di Tutankhamon (Arkadia, 2012, tradotto in Spagna per Edizioni Boveda come La esposa de Tutankhamon) e Il profumo della mimosa (La Zattera, 2017), Farfalle nel vento è il suo quarto romanzo.
Brava Claudia.
Descrivere le proprie emozioni, e ritrovarsi coinvolti nelle altrui storie, è la sintesi della bellezza di sentirsi parte della storia.
Complimenti alla nostra scrittrice Serrentesi. 🙂
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