Verso le Regionali. Il pericolo di un governo sardo-leghista

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4 mori padani

Non è facile capire se quel che sta avvenendo nella politica nazionale fra le forze oggi al governo potrà, o meno, avere un’influenza sulle prossime elezioni regionali sarde. Cioè se la forte crescita di consensi attribuita alla Lega di Matteo Salvini (ormai attorno al 35 per cento, dal 17,4 delle Politiche) e il calo, di quasi 10 punti (dal 32,7 per cento), dei grillini (stando ai sondaggi) si ripercuoterà anche sui risultati isolani. Tenendo conto che quei due schieramenti avevano conseguito, qui in Sardegna, dei risultati differenti: solo l’11 per cento per la Lega (in unione con il PSd’Az) e quasi il 43 per cento per i pentastellati. Per dare retta ai sondaggi circolati in questi ultimi giorni, anche le intenzioni di voto alla competizione regionale darebbero conferma dell’andamento nazionale, con la Lega attorno al raddoppio (attorno al 20-23 per cento) ed i grillini in calo, verso un dimezzamento.

Questo vistoso ribaltamento farebbe ritenere come la prossima maggioranza di governo vedrebbe probabilmente alla guida i sardo-leghisti di Matteo Salvini e Christian Solinas, come primo partito di quel rassemblement di centro-destra che comprenderebbe anche Forza Italia, Riformatori, Fratelli d’Italia, ecc.: i sondaggi l’accrediterebbero di un generoso 40-42 per cento. Se queste previsioni venissero confermate dal voto, e se l’incognita di una curiosa legge elettorale che permette il voto disgiunto per il governatore, la Sardegna sarebbe governata da una Giunta a trazione leghista. Si dovrebbe dire più correttamente sardo-leghista, ma è ben chiaro che un partito come il PSd’Az odierno, ormai senza più né identità né consistenza, conterà come il due di picche a bridge. Anche se il nuovo governatore – fatta salva sempre l’incognita del voto disgiunto – dovesse risultare il leader dei sardisti, cioè Solinas.

Ipotesi che desta non poche perplessità. E anche ragionati timori. Proprio perché quel 20-23 per cento di voti che i sondaggi accreditano alla Lega sembrerebbe espresso più per andar contro l’attuale coalizione di centro-sinistra (penalizzata dalla sterilità del suo operato) che per condividerne gli obiettivi ed i programmi. Purtroppo non andrebbero sottovalutate le posizioni assai altalenanti ed umorali del partito leghista (sui temi economici come su quelli sociali) e, non secondariamente, per via della personalità assai inquietante del suo leader. Inquietante, va spiegato, perché Matteo Salvini unisce alle indubbie ottime capacità comunicative, anche una spericolata attitudine a fiutare gli umori della piazza (qualunque essi siano, più di pancia, comunque, che di testa), sempre assai lesto a farseli propri ed a cavalcarli come impegni di partito e programmi di governo. E proprio quel fiuto da vero animale politico lo ha portato a cogliere appieno l’alto grado di insoddisfazione e di malcontento attribuito ai governanti di Roma. Assumendolo come impegno per il cambiamento e trasformandolo in quello che alcuni commentatori hanno definito “il vento leghista”.

Ora, una Regione a maggioranza sardo-leghista desta non pochi interrogativi. Per via, certamente, della opposta storia dei due contraenti: tutto Nord e nemico della terroneria del Sud la Lega, con pericolose propensioni verso la destra più xenofoba; con una profonda vocazione progressista e soreliana il PSd’Az, parte integrante del meridionalismo di Gaetano Salvemini e Guido Dorso, in difesa delle sopraffazioni d’un Nord pigliatutto.
Un connubio – il sardo-leghismo – che riporta indietro nel tempo, al ricordo di quello che fu il sardo-fascismo. Cioè il connubio fra il sardismo del primo dopoguerra e quello che era l’arrembante e totalizzante partito nazionale fascista.

Certo, fra queste due vicende ci sono profonde differenze. La prima riguarda l’identità fortemente democratica della Lega, ben lontana da ogni collusione con i metodi illiberali ed egemonici delle camicie nere, mentre la seconda riguarda gli obiettivi dell’operazione. Occorre infatti ricordare come il fascismo in quel 1923 intese cooptare il movimento sardista per poter acquisire una dirigenza politica giovane ed efficiente, oltre che dotata di forte carisma popolare (i nomi di Paolo Pili, di Antonio Putzolu, di Vittorio Tredici, di Enrico Endrich lo confermano), militanti in un partito nuovo e in forte ascesa, oltre che fortemente motivato al cambiamento. E incardinarsi così all’interno della società sarda.

Oggi accade l’inverso: è proprio il Partito sardo d’azione a voler cercare, cooptandosi con l’emergente e straripante Lega salviniana, il modo per risollevarsi dal suo incombente e certo declino. Ridotto, come appare, ad essere povero di voti e di consensi e con una dirigenza assai modesta (soprattutto di qualità) e senza un background adeguato alla sua storia centenaria da vocazione progressista (oltretutto ora espropriato nella sua base da movimenti in ascesa, tutti d’analoga matrice), parrebbe avere soltanto l’ambizione di non dover scomparire definitivamente. Anche mettendosi insieme ad un partito del tutto disomogeneo e privo in Sardegna di alcun radicamento.

Ma se a queste elezioni – mi sento di domandare – dovesse prevalere questa coalizione a guida sardo-leghista, su quale classe dirigente, efficiente e competente, potrà contare la Sardegna? Sembrerebbe infatti che nel loro patrimonio elettorale ci siano soltanto i voti, i molti voti che i sondaggi attribuiscono loro. Ma per ben governare i soli voti non servono: occorrono degli uomini capaci, preparati ed efficienti. E dalle parti dei sardo-leghisti, per quel che s’ha da vedere, non è facile trovarne qualcuno. Ora, proprio quel che è successo a Roma con i vari ominicchi, quaquaraquà e gaffeurs saliti al potere governativo (i loro nomi: Toninelli, Fontana, Grillo ecc. ecc.) ne offre una metafora illuminante e sconfortante. Ripeteranno gli elettori sardi lo stesso errore?

Paolo Fadda